Due settimane di letture in giro per la Cina in aprile sono state rivelatrici a proposito di quanto i discorsi indiani fossero inclusi nei venti di cambiamento che attraversano il paese. Il giorno in cui sono arrivato a Pechino da Shanghai sulla strada per il Tibet, la capitale cinese riceveva una figura immensamente controversa nelle politiche di questa regione – il temibile “Amir”(presidente) del Jamiat Ulema-e-Islam (JUI-F) del Pakistan, Maulana Fazal-ur.Rehman, sospettato di essere il “padre dei Talebani.”
Due aspetti della visita del Sig. Rehman mi hanno intricato. IL JUI-F non ha alcuna controparte cinese ma Pechino ha risolto il dilemma facendo entrare in scena il Partito Comunista Cinese (CCP) a stringere le mani del Sig. Rehman. Il CCP e il JUI-F potrebbero sembrare acqua e olio ma la Cina di oggi spera di poterli mischiare. Durante la visita del Sig. Rehman, il CCP e il JUI-F hanno firmato insieme un memorandum di cooperazione. Dopo Pechino il Sig.Rehman si è diretto verso lo Xinjiang.
E’ stato un momento eccezionale – vedere l’energico Maulana esposto alle violente politiche di questa regione, grazie all’ideologia dell’Islam militante praticato dalla sua stirpe e alla pura audacità, o totale ingenuità, delle politiche pechinesi a invitarlo mentre lo Xinjiang si sta dissanguando per mano dei militanti islamici basati in Pakistan e sostiene a fatica gli intrighi della mafia della droga sulla strada del Karakorum.
Sicuramente il Pakistan è di un’importanza immensa per le strategie della Cina. E’ un amico di vecchia data, un mercato per le esportazioni cinesi, un ponte vitale per la nuova catena di comunicazioni che unisce il Golfo Persico, il Medio Oriente e l’Africa; ma soprattutto, una terra che ospita militanti Islamici cinesi che potrebbero essere caduti sotto l’influenza di potenze straniere. Non sorprendentemente, le comunicazioni di sicurezza con Islamabad hanno assunto un’alta priorità. Il seguente rapporto della settimana scorsa sul giornale quotidiano “China Daily” di proprietà del governo cinese, ha sottolineato la complessità della situazione: “Un numero crescente di membri del Movimento Islamico del Turkestan dell’Est (ETIM) che ha condotto gli scontri ed è segnalato come gruppo terrorista dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, stanno, secondo quanto si dice, fuggendo in Pakistan e sistemandosi là per i futuri piani. Secondo gli ultimi rapporti, l’ETIM ha stretto una vicina collaborazione con i talebani e con Osama Bin Laden. Pare che un capo dell’ETIM sia anche stato nascosto in Pakistan e vi sono notizie di un “battaglione cinese” costituito di circa 320 membri dell’ETIM delle forze talebane. “Non è difficile per loro nascondersi in Pakistan. Hanno credenze religiose, sembianze somatiche e lingue simili a quelle dei locali.” ha scritto il giornale di Pechino World News segnato al 1 luglio.
Inoltre, la Cina sta affrontando sfide geopolitiche senza precedenti nel portare avanti “l’amicizia perpetua” col Pakistan. Il Pakistan è diventato un terreno di caccia per le strategie regionali degli Usa. C’è una differenza qualitativa dalle iniziative di collaborazione Usa-Pakistane durante la Guerra Fredda. Gli Stati Uniti oggi dipendono dalle forze militari pakistane per mettere fine alla guerra afghana, così che, senza le inconvenienze della guerra che mettono a rischio l’opinione pubblica occidentale, la continuazione della presenza militare della NATO possa diventare sostenibile. In breve, il Pakistan è un alleato praticamente insostituibile per gli Usa nella presente fase geopolitica della regione, e rimarrà tale per il futuro prossimo, data la sua posizione geografica, l’economia politica e per la sua capacità unica nel dialogare coi gruppi terroristici. L’arrivo prossimo del segretario di stato Hillary Clinton a Islamabad per co-presenziare al dialogo strategico tra Usa e Pakistan – il secondo in quattro mesi – sottolinea di nuovo la centralità del Pakistan all’interno dei calcoli della politica estera di Washington.
Ciò che emerge è che non si da più il caso che qualsiasi cosa faccia la Cina in Pakistan sia per stimolare quache motivo ulteriore ad andare contro l’India o che la politica di Pechino verso il Pakistan sia ancora quintessenzialmente Indio-centrica. Di fatto, la tendenza per un certo periodo è stata quella di Pechino che cercava di mantenere un equilibrio nelle sue relazioni tra l’India e il Pakistan. Sfortunatamente, sezioni motivate della comunità strategica indiana nel loro diretto interesse a favorire le geo-strategie Usa, spesso offuscano deliberatamente queste realtà geopolitiche che fanno pensare. Il simbolismo nella politica del primo ministro cinese Wen Jiabao e degli altri leader che hanno ricevuto il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Shiv Shankar Menon a Pechino, e che con lui hanno intrattenuto discussioni in quanto inviato speciale del primo ministro, giusto prima dell’arrivo del presidente pakistano Asif Ali Zardari durante una settimana di “visite di lavoro”, non può passare inosservato – pur ammessa l’alta stima in cui si tiene conto del Sig. Menon in quanto studente diplomato sulla Cina.
Che è il motivo per cui le le osservazioni del Sig. Menon che hanno seguito le sue riunioni a Pechino, devono essere accolte come riflessive di una profonda comprensione agli alti livelli del policymaking indiano di New Delhi riguardo alla sfida più cruciale della politica estera indiana nel periodo a venire: Le relazioni con la Cina. Il Sig. Menon ha detto che l’India sta mirando a costruire “una relazione [con la Cina] che non sia controllata esternamente”.
Se tutto va bene, sarà stato messo un bel tappo al bartattolo di vermi che lo Zio Sam ha periodicamente tenuto di fronte ai nostri occhi – “un’alleanza di democrazie asiatiche” che includa anche il Giappone, gli Stati Uniti e l’Australia. Esiste una forte necessità di proteggere la fase di normalizzazione dell’India con la Cina dalle occasionali interferenze degli Stati Uniti. Ai margini del recente dialogo avvenuto a Washington sulle strategie Usa-Indiane, vecchi ufficiali americani hanno risuscitato le idee di George W. Bush sugli Stati Uniti e l’India che controllano l’Oceano Indiano collaborando insieme al Giappone e all’Australia – dottrine che sembravano diventate ormai irrilevanti e donchisciottesche dopo che è esplosa la crisi finanziaria mondiale e sono emerse nuove realtà nel sistema internazionale.
Allo stesso modo, l’India deve guardare ai legami sino-pakistani in prospettiva e con un nuovo modo di pensare. Il Sig. Menon è stato colto nell’affermare che la stretta relazione della Cina col Pakistan non dovrebbe avere alcuna relazione con lo slancio di Nuova Delhi mentre monta l’impeto dei legami Sino-Indiani. Di certo è un buon momento per sciogliere i nodi. “Non siamo più in una situazione di gioco del tipo o così o niente. La nostra relazione [indiana] con la Cina non dipende dallo stato dei nostri rapporti col Pakistan, o viceversa. E a giudicare da ciò che ho visto essere stato messo in pratica negli ultimi anni, credo valga anche per la Cina”. Ha detto questo mentre metteva l’accento sulla convergenza degli interessi indiani e cinesi su una scala di argomenti globali, che richiedono un “nuovo periodo della relazione”.
Il governo ha fatto bene a rifiutare di farsi attrarre dalle esortazioni suggerite da alcune sezioni della nostra [indiana] comunità strategica per unirci nella controversia sulla questione nucleare tra Cina e Pakistan a fianco di Pechino – nonostante le naturali preoccupazioni su chiunque faccia accordi col Pakistsan, che potrebbero essere collegati alla non-proliferazione nucleare. Il Sig. Menon ha detto:”Questo [accordo Sino-Pakistano] non è stato l’intero proposito della visita. Ha occupato meno di due frasi e mezzo in tutta la visita”. Gli opinionisti americani e la rumorosa lobby pro-americana della comunità strategica indiana hanno suggerito che l’accordo nucleare sino-pakistano fosse inizialmente diretto contro l’India. Per citare un articolo di un quotidiano occidentale, “la Cina e il Pakistan minacciano di distruggere le aspirazioni nucleari indiane iniziando una collaborazione tra loro stessi”. Comunque sia, i due reattori che la Cina si propone di costruire in Pakistan nel complesso di Chashma sotto la salvaguardia della IAEA non minaccia la sicurezza indiana né sbilancia “l’equilibrio strategico” tra India e Pakistan. Al contrario, se il Pakistan entra nella piega di un qualunque regime di non-proliferazione includendo la salvaguardia della IAEA che la Cina sembra avere in mente, potrebbe essere che succeda una cosa buona.
Di nuovo, i commentatori americani hanno cercato di insinuare che il dialogo tra Cina e Pakistan solleva apprensione nella comunità internazionale, che in cambio potrebbe rianimare i dubbi sulla saggezza degli Usa che stanno preparando un ordinamento speciale per l’India. Queste sono mere sciocchezze. La prova decisiva sarà la prontezza del Giappone ad aprire i negoziati per poter esplorare le possibilità di un commercio nucleare con l’India. Ciò che è sottovalutato è che l’NPT in quanto tale non ha sottoscritto un accordo di scambio con un paese non-firmatario come l’India. Piuttosto, sono stati il Gruppo di Rifornimento Nucleare (NSG) a mettere la “cortina di ferro”. L’NSG era una concussione al 100% americana mirata a penalizzare l’India sotto un regime multilaterale designato. In poche parole, come gli Usa hanno iniziato a sentire il bisogno pressante, nei termini della sua strategia globale, di creare un’alleanza con l’India come potenza emergente, le barriere sono divenute un inconveniente relitto del passato. Allo stesso modo, non ci dimentichiamo che gli Usa potrebbero probabilmente offrire un accordo sul nucleare al Pakistan a qualche punto.
In breve, Pechino si prende cura dei suoi legami col Pakistan in un momento cruciale come questo in cui figura come alleato chiave delle strategie regionali degli Usa. Il Pakistan, da parte sua, è un partner esemplare che elimina decisamente ogni intereferenza degli Usa nel suo rappporto con la Cina. Gli Stati Uniti sono stati abbastanza esperti da realizzare le virtù dello “slegare nodi” in questa complicata regione. Lo spettacolo offre un occasione di moralità all’India.
Traduzionea cura di Almerico Matteo Bartoli